Matteotti. Dieci vite by Vittorio Zincone

Matteotti. Dieci vite by Vittorio Zincone

autore:Vittorio Zincone [Zincone, Vittorio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza


Rapito

Due giorni dopo il suo secondo discorso sulle violenze fasciste, il 12 marzo 1921, Matteotti è atteso a Castelguglielmo. Ci arriva in calesse con Stefano Stievano, sindaco di Pincara. Mentre sono sulla strada vengono avvisati che potrebbero subire un’imboscata. Matteotti dice a Stievano di tornare indietro. Prosegue da solo. Di fronte all’ingresso dei locali della Lega lo aspetta una piccola folla di randellatori in divisa nera. Lui parla ai suoi, li calma. Rifiuta il contraddittorio con due esponenti dell’Agraria, ma accetta di seguirli nella loro sede. Appena entrato lo invitano a ritrattare quel che ha detto alla Camera. Gli sottopongono dei documenti da firmare: deve dichiarare che lascerà il Polesine. Matteotti si rifiuta. Allora lo prendono di forza e tra una bastonatura e uno sputo lo fanno salire su un camion.

Passano alcune ore e viene scaricato in aperta campagna, nei pressi di Lendinara. È notte. Le strade sono buie. Dopo una decina di chilometri a piedi Matteotti, malconcio e dolorante, arriva a Rovigo, dove è atteso per firmare la proroga del patto agricolo. A chi gli chiede perché sia in ritardo e con gli abiti in disordine, Matteotti risponde: «I m’ha robà». Dice che lo hanno sequestrato. Non aggiunge altro.

Il tam-tam a mezzo stampa e a mezzo propaganda dell’Agraria, invece, sparge la voce che Matteotti sul camion, oltre che bastonato, sia stato seviziato e abusato. Gli aggressori, ghignando, raccontano che il rivoluzionario con la pelliccia sia stato violentato con la rivoltella di un camerata. Qualcuno ipotizza che per oltraggiare il socialmilionario abbiano usato la pistola che aveva con sé. Se ne vantano. Turati in seguito parlerà degli «oltraggi» sofferti in Polesine da Matteotti. Modigliani racconterà di una «sconcissima aggressione».

In realtà nessuno sa bene che cosa sia successo. Tra gli aguzzini pare che ci sia anche un suo fittavolo, che aveva sempre trattato con riguardo. Matteotti stesso parla dell’episodio in almeno due occasioni. In luglio, durante l’ennesima discussione alla Camera sulle violenze nella sua Regione, alcuni parlamentari fascisti lo interrompono e lo sfottono facendo riferimento agli abusi subiti. Lui le definisce frasi di carattere ingiurioso e oscenamente diffamatorio. Chiede e ottiene di replicare: «Poiché esse sono state più volte ripetute, e in questi giorni ho ricevuto anche dalla posta della Camera alcune lettere anonime, depositate da due non onorevoli colleghi e contenenti le stesse e anzi maggiori turpitudini e oscenità, conforme un nuovissimo costume entrato alla Camera per la prima volta in questa legislatura, allora devo per conto mio apertamente dichiarare che accennano a cose perfettamente, assolutamente false. Se fossero vere, io stesso le avrei denunziate perché rappresenterebbero non la vergogna della vittima, ma la vergogna di una fazione arrivata a tali estremi di beduina barbarie. Ma, ripeto, non sono vere; fino a quel punto, devo lealmente dichiararlo, non è ancora arrivata la barbarie agraria nel Polesine. Però il dirlo o il supporlo soltanto costituisce già una prova delle più basse e vergognose attitudini, abitudini, o capacità morali degli interruttori o degli anonimi. Ed io domando ad essi di uscire dalla



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